It takes a fool to remain sane.


5 giugno 2515 | Horyzon

André sfarfalla le palpebre, le strizza, deglutisce un fiotto di saliva pastosa. Non sa bene se a svegliarlo sia stato il sole che invade la stanza, attraverso la vetrata precipitosamente affacciata verso il mare, o il suono sgraziato dei tasti che Ritter, seduto al pianoforte, sta pigiando con noncuranza a intervalli irregolari.
Il medico torce il collo, sentendo il frusciare sconnesso dei suoi movimenti, e strizza una palpebra sola contro la luce che gli investe metà del viso nel soppesare l'ospite con distacco analitico, un sorriso scosceso a malapena arrampicato sulla guancia magra.
André si passa una mano sul viso, sfregando le palpebre e la bocca, mentre si tira su a sedere sul letto con uno sforzo immane. Ha dormito sopra le lenzuola, in pantaloni e camicia, ma quando appoggia le piante dei piedi sul pavimento si accorge di essere scalzo.
Sulla coda del pianoforte brillano due bicchieri di vetro, e una bottiglia vuota giace sul pavimento assieme a infiniti mozziconi di sigaretta e rose rosse sparpagliate.
Vandoosler valuta la stanza limpida, illuminata dal sole caldo del primo pomeriggio, cercando meccanicamente la fondina ascellare appesa, assieme al coat, sullo schienale di una sedia.
Ritter distoglie lo sguardo, sfiorando i tasti con una ditata troppo leggera perché ne venga fuori alcun suono.
– Noemi chi sarebbe? - domanda pacatamente, disinteressato, ruotando lo sgabello per afferrarsi le cosce con le mani scarne e sporgersi verso di lui. Gli occhi verdi e inviolabili sviscerano la smorfia perplessa del pistolero con l'invadenza fredda di un bisturi.
– Noemi?
Il medico fa spallucce e si tira in piedi svogliatamente, tediato ed elegante, scansando una corolla sgualcita con le dita lunghe per raccogliere da terra il pacchetto di Engine. Ne strappa la carta con leggerezza chirurgica alla ricerca, vana, di un'ultima sigaretta.
– Noemi. - ripete, senza guardarlo. - Prima hai parlato nel sonno, hai detto "Noemì, piutàn, passami una lumaca imburrata".
Ne scimmiotta l'accento con una certa, opaca soddisfazione. Dev'essersi svegliato da pochissimo anche lui, malgrado l'aria di smaccata superiorità.
Putain
? - seduto sul bordo del materasso, gli avambracci scoperti puntellati contro le cosce e lo sguardo allucinato che zigzaga sul pavimento, André si lecca le labbra e schiarisce la voce un paio di volte, pensieroso.
– Nay. - si stringe nelle spalle, poi, tirandosi in piedi con un solo e potente sforzo di volontà barcollante. - Mai sentita, fratello.
Ritter sta ancora contemplando il pacchetto di Engine, tristemente vuoto, ormai ridotto a striscioline.
Vandoosler stropiccia i capelli biondastri con una mano e vacilla, quando lo sguardo appannato dal sonno gli cade fuori dalla vetrata panoramica. Trattiene il fiato, per un momento, e sul viso sgualcito, negli occhi, gli balena un'espressione sopraffatta e luminosa quasi quanto il cielo. Il medico, indirizzandogli un'occhiata casuale, si scopre tardivamente a masticare un ghigno indolente.
– Abbiamo finito le sigarette. - comunica con distacco professionale.
André sbatte le palpebre e distoglie, a fatica, lo sguardo ipnotizzato dal mare di Cap City. Tira su col naso e si lecca le labbra, senza fretta, infilando le mani nelle tasche dei calzoni per frugarle e cavarne fuori, in capo a qualche momento, una sigaretta spezzata.
– …et voilà.
Eleazar squadra la metà penzolante della cicca con un misto di stupore blasé e compatimento che non intacca granché il sorriso tumido, allucinato, del suo interlocutore.
Vandoosler spezza definitivamente la sigaretta, come fosse un'ostia, e brucia la distanza con un paio di falcate sbilenche per incastrarne il filtro tra le labbra del medico con un guizzo calibrato, straordinariamente svelto, delle lunghe dita sfregiate. L'altra metà, solo carta e tabacco, se la ficca in bocca con un certo compiacimento solenne.
Amen.
Ritter sbuffa fuori un grumo d'aria un po' arreso, un po' insofferente, e gli allunga la fiamma dell'accendino.
Il sole sale leggero tra le nuvole di Capital City.