From the corpses flowers grow.


27 luglio 2515 | Bullfinch

Fra le nuvole si è aperta una crepa di stelle che sanguina via lattea, e il terreno inumidito è morbido sotto le scapole. Sdraiato a terra, immerso nel frinire distante dei grilli, André conta le isole luminose che galleggiano nel cielo e stringe le labbra sul filtro lentamente, asfaltandosi i polmoni di bloom con voluttà deliberata.
– Mordecai ha occhi che ti scavano dentro. - mormora sommessamente, staccando a fatica la voce impastata dal palato. - Contano le sinapsi del tuo cervello, misurano le ferite del tuo cuore.
Sospira un bolo di caligine, lo sfarfallio delle ciglia chiare che rende intermittente il bagliore del firmamento notturno.
– Probabilmente saprebbe ricucirle tutte, con quelle labbra.
Addenta le proprie, di labbra, succhiando quello inferiore fino a sentire il sapore del sangue sotto la pellicola sottile che divide i capillari dalla lingua.
Piega indietro la testa, inarcando la nuca fino a impastare di terra scura il biondo dei capelli, per sbirciare a rovescio l'iscrizione sulla lapide di Kirill Edwards.
Sa che il suo spirito non è lì, ma la sua carne non è lontana, fusa nella stessa terra da cui vorrebbe farsi inghiottire. Un po' ha la sensazione di sprofondare, mentre un altro tiro di bloom gli arroventa i polmoni e la gola.
– … ho paura, Kirill. - ammette lentamente, inseguendo, dietro le palpebre socchiuse, le serpentine bianche di fumo che si rincorrono verso il cielo, sfaldandosi nell'afa umida di Bullfinch.
Dieu, come non ne ho mai avuta in vita mia.
Il terriccio umido, dissestato dalle piogge torrenziali, è morbido come un cuscino; la bloom gli rende le ossa pesanti, le palpebre si attirano come calamite. Anche l'angoscia che è convinto di sentire non riesce a raggiungerlo, incastrata fra i battiti lenti e regolari del cuore intorpidito.
– Mi sono bruciato un dito.
Solleva la mano destra per leccare la carne ustionata del pollice, mandando il palmo aperto a schiantarsi sullo sterno quando il braccio cede alla violenza insidiosa della gelatina che sta prendendo il posto dei suoi muscoli.
– Mi sono bruciato. - ripete piano, accostando le ciglia umide per seppellire lo sguardo nel nero palpitante di vene invisibili, stese come ragnatele dentro le palpebre. La nuca pesante, affondata nel terriccio, le scapole conficcate attraverso la crosta terrestre lambiscono il calore osceno del cuore di lava del mondo: la mappa stellare di Polaris oscilla, come il residuo di un'allucinazione, sulla superficie dei suoi occhi ciechi. Sospira, allargando le braccia come i lembi di una ferita. Mordecai non lo bacia, non sutura il suo cuore, ma ha i polmoni e la materia grigia invischiati di bloom e il sonno che sfalda la coscienza un morso alla volta, un cedimento liquido delle vertebre alla volta.
Si squaglia a terra, sulla tomba, dentro la tomba, masticato come le more sotto i denti di Joe Black.
Sbrodola una risata arresa e incosciente.
– … putain.
Mi sono bruciato.